30 Oct Produzione di grano duro, necessità di import, trend dei prezzi. Dati alla mano, Anacer fa chiarezza
“Ancora una volta circolano fake news per dare una rappresentazione della coltivazione di grano duro in Italia, della produzione di pasta italiana e dell’import di cereali, che in un colpo solo sviliscono i pastai, le autorità nazionali deputate ai controlli sanitari sulle merci in import, gli stessi consumatori considerati come greggi di pecore”. Lo afferma in una nota l’ANACER, l’Associazione che rappresenta gli operatori nazionali che svolgono l’attività commerciale di importazione di cereali.
Prima considerazione: riconoscere che anche quest’anno c’è stato un calo produttivo in Italia di grano duro pari al 20%, conferma la necessità per l’industria alimentare nazionale di importare dall’estero la differenza, che poi ha generato l’impennata delle importazioni dal Canada, per compensare la scarsità di produzione interna.
Il calo produttivo della campagna corrente, la mancanza totale di scorte nel mercato e in azienda ha fatto schizzare il prezzo a giugno anche a 350 euro a tonnellata: il Ceta non c’entra nulla perché l’Europa, avendo prodotto in questa campagna circa 2 milioni di tonnellate in meno, ha di fatto spinto le aziende a rivolgersi al Canada.
Peraltro va sottolineato che le decisioni di semina degli agricoltori dipendono più dai contributi comunitari che altro. Infatti, negli ultimi anni, gli ettari destinati al grano duro in Europa si sono ridotti per mancanza di convenienza, e questo è un problema politico sul quale si dovrebbe riflettere.
Se non importassimo cereali, in questo caso grano duro, produrremmo un danno enorme all’industria alimentare nazionale, soprattutto in presenza di uno straordinario aumento della domanda di pasta nel mondo: per quella venduta in Italia si usa in prevalenza il grano italiano, mentre per l’export si usa una miscela di grani, tra cui il canadese.
Tornando al Ceta, l’accordo di libero scambio UE-Canada è stato discusso a livello comunitario e non solo italiano. “Ancora una volta – aggiunge il presidente di ANACER, Carlo Licciardi – dobbiamo rilevare il rigoroso lavoro delle Autorità sanitarie nazionali sia all’imbarco che allo sbarco dei cereali provenienti dal Canada, come delle altre merci e origini. Ribadiamo che nessun parametro è mai stato trovato fuori norma”.
Questi sono dati ufficiali che il Ministero della Sanità ha già svariate volte portato all’attenzione di chi ha fatto innumerevoli interrogazioni parlamentari.
Ed eccoci al glifosato. In Europa è legittimamente ammesso, con la Commissione europea che ne ha autorizzato l’utilizzo fino al 2021, entro certe soglie e con determinate precauzioni per chi lo maneggia. In Italia viene utilizzato nei campi, ma anche lungo i binari della ferrovia e ai cigli delle autostrade, per evitare che le erbacce mettano in pericolo la circolazione. Il glifosato rientra nella categoria ‘erbicidi fosforganici dipiridilici’: di questi, nel nostro Paese se ne vendono ogni anno 3.700 tonnellate, in pratica i diserbanti più utilizzati.
Ricordiamo, infine, una presa di posizione di Agrofarma (Federchimica): “Il sistema europeo di autorizzazione e di controllo degli agrofarmaci è il più stringente al mondo, se un prodotto fitosanitario è regolarmente in commercio nel mercato Ue, significa che dal sistema di analisi europeo non è emerso alcun elemento concreto che ne giustifichi la messa al bando. Riteniamo estremamente dannoso mettere in discussione tali decisioni, perché ciò finirebbe per creare un quadro di incertezza delle regole controproducente per tutti, soprattutto per gli investimenti in R&S”.